Come più volte scritto, ho deciso di far convergere su questo blog un po’ di tutto. Dagli sfoghi nello stile “disagio social” ai post sul cibo nell’antichità, dalle mie filippiche nei confronti dell’arte contemporanea e sui dogmi archeologici alle mie ricerche e anche, perché no, ai sunti delle puntate radiofoniche della mia trasmissione Vernissage. Insomma uno zibaldone di pensieri, di appunti e punti della situazione.
Mi reputo un relativista, il mio punto di vista, l’approccio alla vita, la mia formazione di opinioni e pensieri si fonda, aihmè, sul riconoscimento del valore soltanto relativo. Ho bandito i dogmi, non riesco a pensare che qualche affermazione o teoria formulata da altri essere umani in generale (o presunti ispirati dall’alto) sia assoluta.
Credo, in buona sostanza, che a seconda del contesto culturale, delle epoche, delle situazioni socio economiche, del progresso tecnologico, le varie teorie o credenze formulate abbiamo subito delle influenze e,per tal motivo, erano valide finché erano considerabili valide e accettate. Verità parziali. Verità relative. Possono essere un punto di partenza, non una continuità di pensiero.
Detto questo, però, il mio relativismo ha un limite e si scontra contro un dogma. Che contraddizione. Si, perché è il buon senso che a un certo punto mi fa pensare che “si, è tutto relativo, tutto accettabile, ma fino a un certo punto”.
Il buon senso è il mio limite di salvaguardia che non mi fa scadere nel nichilismo, il passo successivo o l’estremizzazione del relativismo.
Se il limite al mio relativismo, che non è un limite, è il mio personalissimo concetto di buon senso, il problema che si pone è un altro: come posso sapere se il mio buon senso è realmente buon senso?